Hai mai provato a sfogarti con l’AI? Un fenomeno in crescita

Pubblicato il 17 Luglio 2025

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Sfogarsi con l’AI? È sempre più comune, soprattutto tra i giovani. È un fenomeno in crescita anche in Italia, dopo il boom in America. Ci sono tuttavia dei rischi da non sottovalutare, per quanto naturalmente esistano delle potenzialità: un conto è parlare, scrivere, sfogarsi come quasi tenere un diario, un altro è sottovalutare alcuni sintomi e ignorare la diagnosi.

Cosa possiamo fare? Ci rivolgiamo soprattutto ai genitori, anche se pure gli adulti stanno sperimentando una sorta di incontro tra psicologo e chatbot.

Sfogarsi con l’AI, perché è un fenomeno in crescita

AI-sfogo
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La salute mentale è tra i temi più importanti di cui ci siamo occupati negli ultimi anni. Dopo un periodo in cui parlare di depressione è stato quasi un tabù, oggi siamo più propensi a concentrarci sul nostro stato di salute non solo fisico ma anche mentale.

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C’è tuttavia un problema da non sottovalutare, ovvero: il momento in cui i giovani, ma anche gli adulti, usano l’intelligenza artificiale per conversare come farebbero con uno psicologo.

Sembra facile, anche perché stiamo parlando di qualcosa che è a portata di un click, eppure ci sono dei rischi che possono peggiorare la condizione. Sappiamo infatti che l’intelligenza artificiale non possiede la cosiddetta intelligenza emotiva, quindi dà risposte standardizzate che si basano su quanto si trova già online.

Inoltre, l’intelligenza artificiale non è quella umana, che invece si basa prettamente sul vissuto di una persona, sulle emozioni, sui sentimenti e soprattutto sul linguaggio non verbale.

Durante una seduta dallo psicologo, quest’ultimo verifica ogni aspetto della persona che ha davanti: non solo cosa dice ma come lo dice. Con l’intelligenza artificiale tutto questo non è possibile, perché siamo noi che scriviamo di fronte a uno schermo i nostri problemi, i nostri pensieri, i nostri sentimenti. Un po’ come facevamo con il diario che tenevamo alle medie.

C’è anche da dire che l’IA dà dei consigli basati appunto sull’algoritmo e su quello che trova sui motori di ricerca: questo significa che non è in alcun modo una consulenza né una terapia, ma propone dei suggerimenti e di certo fa sentire la persona più a proprio agio, in quanto non risponde mai con un’accezione negativa ma sempre positiva o neutra.

L’IA è diventata la consulente dei giovani

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Questo strumento, che ormai è alla portata di tutti, è quasi diventato una sorta di consulente: come dicevamo poc’anzi, le sue risposte sono sempre positive ed empatiche. Il dialogo si mantiene abbastanza fluido e soprattutto non è mai giudicante.

Il motivo per cui soprattutto i giovani si sfogano usando l’intelligenza artificiale è che trovano così un compagno con cui parlare di quello che non direbbero mai ai genitori o persino ai propri amici del cuore.

C’è tuttavia un aspetto che ci preme particolarmente sottolineare, ed è che le sfumature emotive più complesse non vengono percepite dall’IA, per quanto alcuni chatbot vengano addestrati a riconoscere segnali critici e a suggerire di chiamare il proprio medico, il proprio psicoterapeuta o a rivolgersi immediatamente ai numeri di aiuto.

L’aiuto così diventa solo parziale. Il problema è che i giovani non lo sanno né lo comprendono: è utile sfogarsi scrivendo le proprie emozioni, ma in presenza di determinati sintomi e soprattutto di determinate problematiche, come la depressione, i disturbi di ansia e stress, i disturbi alimentari, estremamente diffusi tra gli adolescenti, solo una figura medica di riferimento può effettivamente dare tutto l’aiuto possibile.

Cosa fare a questo punto?

La sensibilizzazione diventa il mezzo più potente che abbiamo per mettere in guardia qualsiasi fascia d’età dall’uso intensivo dell’intelligenza artificiale: tenere un diario tecnologico non è un’idea sbagliata, ma l’IA non può né deve sostituirsi a uno psicologo o psichiatra.

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